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Una critica d’arte si chiese un giorno perché nella storia dell’arte non esistessero grandi pittrici. Per le stesse ragioni per cui non esistono grandi tennisti eschimesi (assenza di campi, insegnamenti e tempo per praticare).

Non è solo contro il politicamente corretto (nel link un articolo su Il Corriere dove Costanza Rizzacasa D’Orsogna dialoga con Walter Siti e Jonathan Bazzi proprio sull’argomento) contro cui si scaglia il bellissimo saggio appunto dello scrittore Walter Siti edito da Rizzoli e dal titolo CONTRO L’IMPEGNO. Riflessioni sul Bene in letteratura. Va oltre, raccontandoci con ironia quello che rimane della vera letteratura dopo generazioni: vale a dire se quello che rimane, dopo il susseguirsi di culture che cambiano, è ancora valido allora può definirsi tramandabile. È l’idea anche del “lettore implicito” cioè del lettore che ogni scrittore ha presente mentre scrive, un lettore impregnato dei pregiudizi del proprio tempo. Ma ogni lettore reale si trova a confrontarsi con quello implicito. I suoi parametri culturali sono diversi: chi non vede nei testi che storture da raddrizzare e chi si scandalizza perché viene distorta e mutilata la tradizione. Ecco come spiegare a una classe di 18enni i versi misogini di Leopardi dunque? – Ciò che va bene in un posto è sbagliato in un altro: ciò che è bene per un popolo è abominio per un altro.

Oggi per Walter Siti c’è anche il rischio eccessivo di trigger warning, di avvertenze che potrebbero dissuadere dalla lettura: la letteratura del passato gronda di presupposti non condivisibili per i posteri, quegli stessi presupposti su cui si fonda la letteratura di oggi. Nei classici non è difficile rintracciare posizioni razziste, misogine, omofobe, antisemite, classiste, ma anche elogi della tirannia, della violenza, dell’omicidio, dell’incesto, di ogni genere d’oscenità e perversione. A seconda dei periodi storici e della delicatezza dei lettori, anche la confessione al marito di amare un altro uomo, o una partita di caccia o una bistecca al sangue mangiata con gusto o troppe sigarette fumate, o una donna remissiva in amore o un omosessuale nevrotico possono mettere a disagio.

Per il resto della raccolta di mini saggi, Siti ci va addosso di brutto sul cosiddetto “Engagement dei contenuti”, l’impegno ideologico legato a temi di cronaca che non fa bene alla letteratura. C’è il rischio di scrivere versi acchiappa-consenso, capaci di solleticare quel che la gente vuol sentirsi dire. L’engagement rate in marketing è infatti il quoziente che calcola l’efficacia di una fan-page. Il trending topic, cioè gli argomenti che assicurano al sito il massimo di visualizzazioni. È così che nascono i libri a tavolino nelle redazioni delle case editrici, magari già con le fascette editoriali, se solo dicessero il vero?

L’arte, per Siti, è un bastian contrario che spira sempre dal lato sbagliato: è ambivalente, dà ragione a chi ha torto e torto a chi ha ragione. I personaggi a cui il lettore dovrebbe affezionarsi, dovrebbe anche poterli odiare. Ma la letteratura può dare cittadinanza a Satana, mentre il giornalismo non può permetterselo. Il rischio della funzione emotiva della letteratura quando in realtà potrebbe prepararci a superare i nostri fallimenti facendoci sentire spaesati, smarriti. Le poesie possono dire quel che l’autore non sa di voler dire. E i romanzi riusciti condensano nel proprio spessore opposte verità. La letteratura si fonda proprio sull’ambiguità.

L’autore assegna alla letteratura il compito di “dire la verità”, e genericamente alle “storie” quello di “coltivare l’empatia”. Walter Siti pensa che la letteratura possa spingerci all’odio, degli altri e di noi stessi, e possa arrivare a farci dubitare di qualunque verità; che serva a mettere ordine nel caos, ma anche caos nell’ordine. Politicamente la letteratura è sempre inaffidabile. Mentre per un politico scatenare l’irrazionalità è pericoloso.

Il maggiore obiettivo della letteratura non è la testimonianza o fare del bene -dice Siti (soprattutto quando ricorda un caso negli Stati Uniti dove veniva perorato il risultato di una ricerca scientifica, la solita, che diceva che leggere libri fa bene alla mente, tranne poi accorgersi che negli U.S.A. i dipartimenti umanistici universitari vengono sovvenzionati meno rispetto a quelli tecnologici, forse per questo ne veniva diffusa la bizzarra ricerca) ma l’avventura conoscitiva: la parola nella letteratura può affermare una cosa e contemporaneamente negarla, perché ambigua è la nostra psiche. Quella ambiguità, quella polisemia fanno emergere quel che non si sa ancora: per questo la letteratura è rivelazione di ciò che non volevamo sapere e non può prestarsi a fare da altoparlante a quel che già si crede giusto. In letteratura i personaggi colpevoli sono anche innocenti. E gli innocenti hanno anche la loro colpevolezza.

Una tipologia di vittima particolarmente adatta al romanzesco pare essere -sempre secondo lo scrittore contro corrente- quella del migrante; la drammaticità del viaggio, la forza tragica degli avvenimenti (chi non si sente straziare se una madre perde il proprio figlioletto tra i flutti?) l’esistenza di cattivi stereotipati come il trafficante, il torturatore, il politico cinico, tutto congiura a far salire l’impatto emotivo e la tensione retorica dell’avventura – senza dimenticare che, negli squarci di nostalgia per la patria abbandonata, può prender posto una vecchia conoscenza della letteratura di intrattenimento, cioè l’esotismo. Tutto a poco prezzo, una lacrimetta sdraiati sul divani (o magari di più, una momentanea ribellione, una presa di coscienza, la donazione a una ONG, ma diluite in un clima generale di impotenza, di siamo-tutti-vittime-di-qualcosa). E cita l’esempio di come alcuni autori invece si sono occupati di migrazione lontano da quella retorica, come Catozzella o la Mannocchi.

Continuano gli esempi in dettaglio scandagliando la semantica di romanzi, da Saviano a Murgia, da Carofiglio a D’Avenia, da Buttafuoco a la Fallaci (troppo vicino alla cronaca) fino alla francese Valerie Perrin, passando da cosa è diventato oggi il webbabile citando il saggio The Game di Baricco.

Un capitolo a parte è la critica televisiva su una puntata di un programma di Barbara D’Urso, dove tra gli ospiti vi è l’attore porno Rocco Siffredi. Vi lascio la sorpresa di sapere chi tra i due, secondo lo scrittore Premio Strega nel 2013, debba essere considerato letteratura per il contenuto interiore del dramma e l’altra no.

DUE QUESTIONI DA SPREMERE NEL NOSTRO TORCHIO

DOVE DI SICURO NE SUBISCE LA PELLE IL CORPO DELLE DONNE (Clicca qui per il video sul corpo delle donne)

1° – Barbara Serra, anchor woman di Al Jazeera International intervistata da Vittorio Zincone, ha sentenziato quanto ci è utile a farci svegliare. Barbara Serra inghiotte stereotipi e pregiudizi da quando aveva otto anni: i compagni di classe a Copenaghen accusavano gli italiani di puzzare d’aglio; alcuni telespettatori, quando lavorava per Sky, le scrivevano che guardarla condurre un tg era come assistere a una puntata dei Soprano, e una receptionist sbadata un giorno la registrò come rappresentante di Al Qaeda, invece che come inviata di Al Jazeera. Spremiamo dunque un po’ quello che ha detto.

«I nostri politici dovrebbero accettare critiche e domande con meno permalosità e il pregiudizio degli inglesi nei confronti degli italiani non è peggio di quello che gli italiani hanno sul mondo arabo[…] In Italia c’è la sindrome di Non è la Rai, sin da quando sono piccole, dalle italiane ci si aspettano mossettine e sorrisetti. Ma se di donne nude o scosciate se ne vedono in tutto il mondo, non bisognerebbe citare la pagina del quotidiano inglese Sun dedicata al topless. Quello è un giornale ultrapop. In Italia è un continuo in TV, a tutte le ore. In Danimarca quando ero ragazza, c’erano film porno in chiaro, ma dopo mezzanotte. In Italia è un proliferare 24 ore su 24 di cosce e scollature anche tra le giornaliste.[…] Il ministro Mara Carfagna è colta e intelligente. Ma non è arrivata dov’è per il suo peso politico, per i voti raccolti. E’ all’estero la classificano come ex showgirl. […] In Italia se poni una domanda scomoda sembra sempre che lo fai come avversario politico o come testata giornalistica ostile. E’ come se non esistesse un punto di vista obiettivo: per farsi un’idea di che cosa sia successo si è costretti a comporre un puzzle di sette telegiornali, per fare una media. La domanda allora è una. Perché gli italiani pagano il canone Rai? La tv di Stato che ci sta a fare? A Londra, accendi la Bbc, ti guardi un tg e sei a posto. […]

In Italia non c’è meritocrazia: un giorno ho incontrato un famoso direttore di un tg. Gli ho chiesto come mai le grafiche del suo telegiornale fossero così antiquate. Ma lui non aveva idea di che cosa stessi parlando: “Grafiche?”. La sensazione è proprio che spesso nei posti strategici non ci siano i migliori

Eccone un esempio estremo di certa Tv trash statunitense

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2° – Dall’altro lato della barricata. C’è un Vittorio Feltri che in un editoriale di Panorama dell’inizio di quest’anno, se la prende con i giornalisti-cronisti che diventano quasi addetti stampa dell’autorità, dimenticando le tesi degli innocentisti in un fatto di cronaca: il tutto a favore di un’informazione sbilanciata in senso colpevolista.

«I cronisti si precipitano sul luogo del delitto e lì si incontrano e fanno subito comunella non solo perché facendo lo stesso mestiere si conoscono da tempo, ma anche perché si temono l’un l’altro. Già, hanno il terrore di “bucare” una notizia. Bucare una notizia significa che tu ce l’hai e la scrivi, io non ce l’ho e non la scrivo, quindi domani il caporedattore, constatata la lacuna nel mio articolo, mi darà del cretino. Ecco perché molti colleghi giornalisti preferiscono lavorare in gruppo: perché così si marcano a vicenda. Bisogna andare in questura o in procura? Si va tutti insieme. Oppure alcuni vanno in questura, altri in procura e, alle 6 di sera, si scambiano gli appunti. Nella sostanza, il giorno appresso i quotidiani hanno il medesimo servizio. Appiattimento totale, però nessun rilievo dai capi delle redazioni. C’è di più. I cronisti che viaggiano nel gregge di norma attingono alle fonti ufficiali per evitare smentite. Prima parlano col comandante dei carabinieri, poi con il pubblico ministero, e bevono le loro dichiarazioni, le loro sensazioni, i loro ragionamenti e utilizzano il tutto per la stesura del pezzo

Nella Tv italiana, però, gli avvocati difensori di un caso di cronaca ci vanno. Proprio perché invitati, affinché si eviti il totale tritacarne mediatico che è comune in Italia. Il problema della prima questione di Barbara Serra, fa la differenza che almeno chi fa le domande sà cosa chiede. Chi risponde, a volte non sa difendersi. Come in questo video. CHI E’ COLPEVOLE DI NON RISPONDERE? CHI E’ INNOCENTE SULLE OSCENITA’ BOMBARDATECI OGNI GIORNO?

Spremere v.t.=Premere con forza per estrarne sugo e umido – Acume=Dal lat.Acumen, Acùere, rendere aguzzo; in senso fig. la forza del cervello affilata che penetra il vero delle cose

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FILOTTETE MANFREDI. Blogger, Attore teatrale, Calabrese, come se la terza fosse una professione. Ho vissuto per 15 anni anche a Firenze proiettando al cinema come nel film di Tornatore, calcando teatri, lavorando nelle promozioni pubblicitarie e raccontando le news in radio: coltivando però la mia dote preferita, quella della curiosità. Poi a Boston, MA ho insegnato italiano alla Societa' Dante Alighieri, ho fatto il traduttore, la guida turistica e l'actor/performer della Commedia dell'Arte. Ho curato inoltre un podcast per l'Ufficio Scolastico del Consolato Generale d'Italia "Tutti in Classe". Nella stagione 2014 ho avviato l'esperimento comico nel programma radio L'ITALIA CHIAMO' su http://litaliachiamo.wordpress.com per poi da settembre a dicembre 2014 nel progetto radio televisivo www.litaliachiamo.com. Dalla fine del 2015 vivo a New York. Dopo tutto questo, essendo figlio e fratello di una sarta, sto cercando di ritagliare il tempo per tessere il mio primo libro di racconti.