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“L’identikit dei rapitori in un dirottamento con ostaggi: ordini urlati tipici dei gruppi non organizzati. Con loro bisogna evitare ad ogni costo di perdere la calma: meglio che pensino di avere tutto sotto controllo. Comunicare con i sequestratori senza però mai discutere i loro ordini o le loro motivazioni alla stregua di restare sdraiati a faccia in giù; non reagire durante la cattura e non far capire di aver riconosciuto i carcerieri o non dare l’impressione di aver capito dove ci si trova. Per la propria incolumità personale, l’ideale è rimanere a pancia in terra quando la polizia verrà a liberare gli ostaggi. E in caso di fuga… “ – suona la campanella della fine della classe. Siamo in una scuola di polizia.
Non è un manuale antiterrorismo ma l’inizio di un racconto scritto 20 anni fa che prendeva sviluppo verso un cortometraggio. Anche questo l’ho ritrovato in un cassetto dei miei appunti. I traslochi non lo hanno inficiato.
Poi leggo ancora per curiosità, se vale la pena estrarre un’idea valida tutt’ora. La storia continua con una donna da pedinare e l’immagine in soggettiva è la figura di un obiettivo fotografico. Le immagini vengono trasmesse dal nervo ottico alla corteccia visiva e poi archiviate nell’ippocampo. Mentre l’occhio del presunto “molestatore elettronico” segue questa ragazza fare il minimo movimento per strada, anche come muove i muscoli del collo per porgere le labbra, fino a perdersi verso uno spogliatoio femminile, dentro la mente del pedinatore scorrono immagini di istruttori di tennis che insegnano a giovani tenniste come impugnare una racchetta, o un toro che sbatte contro una rete da tennis. La solita roba sessuale di un erotomane? E la storia mi fa un po’ sorridere, perché evidentemente sta parlando il me stesso di 20 anni fa. Che strano… mi ricorda però qualcosa che ho già visto.
“Ah eccola di nuovo! Si muove lentamente, vuole prendere tempo. Vorrei sapere perché si trucca ma lascia naturali gli occhi e le labbra? Beep. Ha paura d’intimorire. Beep. Si muove a scatti. È coccolona con le amiche, l’amica accanto sembra passionale, la terza sembra trasgressiva per come si comporta ma il nostro target si comporta cooperando, come con i terroristi. Beep. Fa volteggiare la forchetta nel piatto, mostra i denti e prolunga il movimento del collo, si protegge il busto con le braccia. Mostra segnali nascosti da leader. Beep. Da come cammina sembra perfetta nelle movenze e nelle forme. Beep. Raccolta di tutti gli elementi utili all’operazione.”
Prima ancora dunque dell’invenzione della parola “stalker”, io già ne scrivevo 20 anni fa. Ma non sono un genio, forse ci avranno pensato tutti quegli autori il cui pallino e la formazione cinefila erano Kubrick o il David Fincker di Fight Club. Non è soltanto il ruolo dello stalker che mi ricorda qualcosa che ho visto…ecco cos’ è, è l’incipit della serie televisiva YOU in onda su Netflix.
Vent’anni prima potevo vendere i miei diritti a Netflix! Che creativo coglione che sono! Senza sapere che poi uno dei due fondatori, pensionato già a 40 anni per averne venduto le quote, fu ospite del mio matrimonio perché amico di ex parenti. Ma quella è un’altra storia.
La piega finale del mio racconto in questo caso era diversa: lui era un poliziotto alla ricerca di una terrorista. L’aveva individuata, fa in modo di incontrarla e ci va a letto. Ma dalla radio centrale, dove possono leggere la sua mente, si accorgono che lei lo ha incastrato perché ha scoperto che lui era un robot: lei si riveste e scappa e lo lascia sul letto morente con i fili elettrici spezzati e i circuiti al posto degli organi. Finale splatter e robotico, vabbe’.
Capita che una storia scritta anni fa, riemerga sotto forma di altre idee o di situazioni intervenute nel tempo, come lo stalker innamorato e ossessivo-compulsivo in YOU. Da anni non ho dimenticato il pallino che ho in un altro cassetto e che mi porto dietro nei traslochi e ogni volta me ne porto dietro lo schema e lo guardo. E tutte le volte che ci do un’occhiata ripenso al fatto che il mio personaggio debba far parte non di questa realtà temporale o mentale, anche se la caratteristica che gli ho dato è stata già sperimentata in questo film divertente:
Penso sia positivo che sia stata utilizzato questo espediente nella commedia, perché se la storia sta in piedi, svilupparla verso una trovata che abbia un senso tragico o drammatico è la giusta direzione visto che è una situazione che esiste già nella vita reale come in questo caso: https://video.repubblica.it/embed/edizione/bologna/bologna-ecco-rain-man-ragazzi-autistici-assunti-per-controllare-i-sistemi-di-sicurezza-nelle-ferrovie/321042/321669&width=320&height=180
Avviene spesso che a scriverne un identikit, la piega che prende sarà un’altra storia: la mia stavolta penso sia quella non di un rapitore ma di un rapinato. Prima che gli scrupoli della fantasia di un autore che mi legga nella mente superi la cronaca.
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